La tutela del contribuente nelle ispezioni tributarie: le implicazioni della sentenza della Corte EDU sulla normativa italiana
La recente sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU) del 6 febbraio 2025 ha sollevato importanti questioni sulla compatibilità della normativa italiana in materia di indagini tributarie con i principi sanciti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Il pronunciamento della Corte di Strasburgo si inserisce in un consolidato orientamento giurisprudenziale che pone l’accento sulle garanzie fondamentali del contribuente, censurando le modalità con cui le autorità fiscali italiane esercitano i propri poteri di accesso e verifica.
La sentenza evidenzia, in particolare, gravi carenze nella normativa italiana con riguardo ai poteri di indagine della Guardia di Finanza e dell’Agenzia delle Entrate disciplinati dall’art. 35 della Legge n. 4/1929, dagli artt. 51 e 52 del D.P.R. 633/1972 e dagli artt. 32 e 33 del D.P.R. 600/1973. Tali disposizioni consentono l’accesso ai locali aziendali e la raccolta di documentazione senza autorizzazione giudiziaria, salvo il caso di locali adibiti ad abitazione.
Secondo la Corte EDU, tali poteri, esercitati senza sufficienti controlli giurisdizionali, si traducono in una violazione dell’art. 8 CEDU, che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare, esteso ai luoghi di attività commerciale e professionale. La Corte ha rilevato che l’ordinamento italiano conferisce un margine di discrezionalità eccessivo alle autorità fiscali, senza un adeguato controllo preventivo o successivo sull’operato dei verificatori.
Alla luce di tali rilievi, la Corte ha intimato all’Italia di adeguare la propria normativa, introducendo specifiche garanzie per limitare l’ingerenza delle autorità fiscali e garantire un controllo giurisdizionale ex ante ed ex post sulle misure adottate. In particolare, la sentenza richiama la necessità di:
• definire con chiarezza i presupposti e i limiti dei poteri di accesso e verifica per evitare eccessi di discrezionalità da parte delle autorità fiscali;
• garantire un controllo giurisdizionale effettivo e indipendente sulle misure di indagine fiscale, sia nella fase preventiva che successiva.
L’obiettivo della riforma richiesta dalla Corte EDU è assicurare il rispetto del principio di proporzionalità, impedendo che i controlli fiscali si trasformino in strumenti invasivi privi di limiti e di adeguate tutele per il contribuente.
L’impatto della decisione della Corte EDU deve essere valutato anche alla luce delle recenti riforme in materia tributaria. Il D.Lgs. 30 dicembre 2019 ha introdotto l’art. 7-quinquies nella Legge 212/2000 (Statuto del contribuente), stabilendo l’inutilizzabilità delle prove acquisite in violazione di legge. Sebbene tale norma rappresenti un passo avanti nel rafforzamento delle garanzie difensive, essa non è sufficiente a colmare tutte le lacune evidenziate dalla Corte EDU.
Si prospettano, in particolare, tre principali ambiti di riforma:
1. L’invalidità degli accertamenti basati su indagini illegittime: occorre stabilire criteri chiari per l’inutilizzabilità delle prove ottenute in violazione delle garanzie difensive.
2. L’introduzione di strumenti di tutela immediata: il contribuente dovrebbe poter agire in via cautelare per impedire l’utilizzo di prove acquisite in modo illegittimo.
3. L’impatto sulla responsabilità amministrativa degli enti: la necessità di adeguare i modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/2001 per regolamentare le modalità con cui le imprese devono affrontare le ispezioni fiscali, garantendo il rispetto dei diritti fondamentali.
Il legislatore italiano è chiamato a intervenire per colmare le lacune evidenziate dalla Corte EDU, bilanciando le esigenze di contrasto all’evasione fiscale con la tutela dei diritti fondamentali del contribuente.
Solo un intervento normativo strutturato e coerente con i principi della Convenzione potrà garantire un’effettiva conformità dell’ordinamento nazionale alle prescrizioni della Corte di Strasburgo.
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A cura di Avv. Antonio Carano
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