Il passaggio generazionale rappresenta una delle sfide più delicate per l’imprenditoria familiare italiana.
Nel nostro Paese, oltre i due terzi delle imprese hanno una struttura proprietaria a carattere familiare e costituiscono l’ossatura economica del tessuto produttivo. Tuttavia, soltanto una parte di queste realtà sopravvive al ricambio generazionale: secondo i dati più recenti, meno della metà supera la seconda generazione e una quota ancor minore arriva alla terza.
Questa fragilità non dipende soltanto da fattori economici o gestionali, ma anche – e forse soprattutto – dalla mancanza di una pianificazione successoria adeguata.
Il momento del passaggio di consegne, infatti, non è un semplice trasferimento di beni, ma un complesso equilibrio di interessi: quelli dell’imprenditore, che vuole garantire la continuità aziendale; quelli degli eredi, che devono veder rispettati i propri diritti; e quelli dell’impresa, che necessita di stabilità per sopravvivere nel tempo.
La nostra legislazione offre diversi strumenti per la pianificazione della successione d’impresa, ciascuno con proprie peculiarità e finalità.
Tra i più noti vi è forse il patto di famiglia, che consente all’imprenditore di trasferire l’azienda o le partecipazioni sociali qualificate a uno o più discendenti, con il consenso degli altri legittimari, assicurando così continuità e tutela delle quote di riserva.
Accanto al patto di famiglia restano praticabili altre soluzioni, come la donazione di quote sociali con riserva di usufrutto, la costituzione di holding familiari, i patti parasociali tra discendenti e il trust, utile per gestire e amministrare le partecipazioni mantenendone unitarietà – anche decisionale – e controllo nel tempo.
Tutti questi strumenti, pur diversi nella forma, rispondono a un medesimo principio: pianificare il passaggio generazionale prima dell’apertura della successione, in modo da coniugare la libertà di disporre del proprio patrimonio con la tutela dei legittimari e la continuità dell’impresa.
È in questo contesto che si inserisce il decreto legislativo n. 139 del 2024, entrato in vigore il 1° gennaio 2025, che ha innovato profondamente il Testo Unico delle imposte sulle successioni e donazioni.
Tra le modifiche più rilevanti spiccano l’abolizione del coacervo successorio e l’introduzione del nuovo art. 4-bis, che disciplina in modo espresso la tassazione dei trust e degli altri vincoli di destinazione.
In particolare, l’abrogazione del coacervo segna la fine di un meccanismo fiscale ormai anacronistico: le donazioni fatte in vita non vengono più sommate all’asse ereditario ai fini dell’imposta, con la conseguenza che ogni liberalità/successione viene valutata autonomamente. Mentre con riguardo al trust, basta incertezze, avendo stabilito come regola generale la tassazione in uscita, vale a dire nel momento in cui i beni escono dal trust per essere attribuiti ai beneficiari, con facoltà per il disponente o per il trustee di optare per una tassazione anticipata in entrata, al momento del conferimento dei beni nel trust.
La normativa, sempre in evoluzione, spinge dunque verso una pianificazione più consapevole e trasparente, ma richiede competenza e prudenza.
Per concludere, oggi più che mai, il passaggio generazionale in azienda non può essere improvvisato: serve una visione unitaria, che tenga insieme diritto di famiglia, diritto delle successioni, impresa e fiscalità, in modo da preservare ciò che è – prima di tutto – un patrimonio di valori oltre che di beni.
–
A cura di Avv. Clarissa Auriemma