In data 27 marzo 2025, il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha emanato la Circolare n. 6/2025, con la quale, facendo seguito alle note n. 9740/2024 e n. 579/2025 dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, ha fornito alcune utili indicazioni operative sulla legge nota come “Collegato Lavoro” (Legge n. 203 del 13 dicembre 2024). Tra le disposizioni più significative, vi è senz’altro quella introdotta dall’articolo 19 della legge, che ha modificato l’articolo 26 D.lgs. n. 151/2015, mediante l’inserimento del comma 7 bis, disciplinando in modo esplicito l’ipotesi delle dimissioni per fatti concludenti.
Tale intervento normativo rappresenta un punto di svolta, in quanto offre per la prima volta un quadro giuridico positivo e chiaro per la gestione delle ipotesi di prolungata assenza ingiustificata del lavoratore, rendendo possibile – in presenza di determinati presupposti – ritenere risolto il rapporto di lavoro per volontà implicita del dipendente. Si pone così termine a un vuoto normativo che, fino a oggi, costringeva il datore, in caso di prolungata assenza ingiustificata, a ricorrere al licenziamento disciplinare per ottenere la cessazione del rapporto di lavoro.
Prima della riforma, soltanto in due occasioni si erano verificate delle aperture giurisprudenziali, che avevano dato rilievo, in caso di protratta assenza ingiustificata, alla condotta e alla finalità perseguita dal lavoratore, in entrambi i casi da parte del Tribunale di Udine.
In una prima pronuncia del 30 settembre 2020, il giudice friulano ha riconosciuto che la condotta del lavoratore, intenzionalmente finalizzata a provocare il recesso del datore di lavoro, assumesse una valenza strumentale tale da giustificare un obbligo risarcitorio a favore di quest’ultimo, affermando che: “Il lavoratore licenziato per giusta causa per assenze ingiustificate, scientemente finalizzate ad indurre il datore al recesso, è obbligato a ristorare quest’ultimo dell’importo corrispondente al c.d. ticket di licenziamento” (Tribunale di Udine, 30 settembre 2020, n. 106).
Successivamente, con sentenza del 31 gennaio 2022, lo stesso Tribunale di Udine ha compiuto un ulteriore passo avanti, affermando che: “Il contratto di lavoro può cessare per dimissioni del lavoratore, anche in assenza della forma telematica, se il lavoratore manifesta – per fatti concludenti – la sua volontà in tal senso, e ciò nonostante la previsione legislativa di tale obbligo formale” (Trib. Udine, 31 gennaio 2022).
Con tale pronuncia, il Tribunale ha ritenuto che la volontà di presentare le proprie dimissioni, anche in assenza della comunicazione telematica ex art. 26 D.lgs. 151/2015, potesse essere validamente dedotta da una condotta inequivoca del lavoratore, purché questa si inserisca in un contesto coerente e circostanziato, mostrando in modo chiaro l’intenzione di dimettersi, poiché la risoluzione del contratto non può basarsi solo sull’inattività del dipendente.
In tale contesto, la novella legislativa del 2024, dando seguito all’impostazione già tracciata dalla giurisprudenza di merito, ha inserito nel corpo dell’art. 26 D.lgs. 151/2015 il nuovo comma 7 bis, a norma del quale “In caso di assenza ingiustificata del lavoratore protratta oltre il termine previsto dal contratto collettivo nazionale di lavoro applicato al rapporto di lavoro o, in mancanza di previsione contrattuale, superiore a quindici giorni, il datore di lavoro ne dà comunicazione alla sede territoriale dell’Ispettorato nazionale del lavoro, che può verificare la veridicità della comunicazione medesima. Il rapporto di lavoro si intende risolto per volontà del lavoratore e non si applica la disciplina prevista dal presente articolo. Le disposizioni del secondo periodo non si applicano se il lavoratore dimostra l’impossibilità, per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro, di comunicare i motivi che giustificano la sua assenza”.
Con tale intervento, il legislatore ha quindi previsto che il datore di lavoro, in caso di assenza ingiustificata del dipendente protratta oltre il termine stabilito dal CCNL (o, in mancanza, oltre 15 giorni di calendario), possa ora comunicare la circostanza all’Ispettorato territoriale del lavoro: a seguito di tale comunicazione, il rapporto di lavoro, salvo verifica contraria dell’Ispettorato, si intende quindi risolto per volontà del lavoratore.
L’adeguamento alla normativa ambientale non si limita quindi ad un mero obbligo formale, ma comporta una serie di responsabilità operative e strategiche per le imprese. La violazione delle disposizioni in materia ambientale può infatti comportare sanzioni amministrative, civili e penali, con conseguenze significative non solo dal punto di vista economico, ma anche in termini di reputazione aziendale.
Uno degli aspetti più rilevanti della disciplina ambientale è il sistema di responsabilità introdotto dal D.Lgs. 231/2001, che prevede la responsabilità amministrativa degli enti per reati ambientali. Le imprese possono essere chiamate a rispondere di condotte illecite, quali la gestione illecita di rifiuti, l’inquinamento ambientale o il disastro ecologico, con il rischio di sanzioni pecuniarie e interdittive.
Per mitigare questi rischi, le aziende devono adottare modelli organizzativi e di gestione che garantiscano un’efficace prevenzione dei reati ambientali. L’introduzione di un Modello 231, accompagnato dal ruolo e dalle funzioni rivestite dall’Organismo di Vigilanza, rappresenta uno strumento chiave per dimostrare l’impegno dell’impresa nella gestione responsabile delle tematiche ambientali.
Dopo l’entrata in vigore della novella legislativa, la Circolare n. 6 del 27 marzo 2025 emanata dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ha fornito un quadro applicativo della disciplina delle dimissioni per fatti concludenti, come delineata dal nuovo comma 7 bis dell’articolo 26 D.lgs. 151/2015, introdotto dall’art. 19 Legge n. 203/2024.
La Circolare chiarisce innanzitutto che la nuova disposizione non configura un automatismo, ma attribuisce al datore di lavoro la possibilità di considerare come dimissioni la lunga assenza ingiustificata del lavoratore. In particolare, perché si possa parlare di risoluzione del contratto per volontà implicita del dipendente, il datore deve inviare una comunicazione formale all’Ispettorato, usando il modello fornito dall’INL, e indicare che sono trascorsi i termini previsti dal contratto collettivo o, se non ci sono, i 15 giorni previsti dalla legge.
È proprio questa comunicazione a determinare l’attivazione del meccanismo legale, essenziale per la legittimità della cessazione. La data di cessazione non può in alcun caso essere anteriore a quella della comunicazione trasmessa all’Ispettorato, da cui parte anche il termine per inviare il modello UNILAV.
Inoltre, la Circolare chiarisce che quello individuato dalla norma costituisce il termine legale minimo perché il datore possa darne comunicazione all’Ispettorato territoriale del lavoro, ma nulla impedisce di inviare la comunicazione anche dopo quel termine.
Un aspetto importante è rappresentato dalle conseguenze della cessazione, considerato che il datore, in base ai principi generali che regolano il rapporto di lavoro, oltre a non dover versare la retribuzione e i contributi durante l’assenza ingiustificata, potrebbe trattenere, come rilevato dal Ministero, l’indennità sostitutiva del preavviso dalle competenze di fine rapporto spettanti al lavoratore.
Ciò premesso, si rileva come la comunicazione di assenza ingiustificata, come già rilevato dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro con la Nota n. 579/2025, debba contenere tutte le informazioni a conoscenza dello stesso datore concernenti il lavoratore – quali dati anagrafici e recapiti, anche telefonici e di posta elettronica – così da consentire all’Ispettorato di avviare le verifiche richieste dalla norma sulla “veridicità della comunicazione medesima”. Gli Ispettorati potranno contattare il lavoratore, ma anche altro personale impiegato presso il medesimo datore di lavoro o altri soggetti che possano fornire elementi utili, al fine di accertare se effettivamente il lavoratore non si sia più presentato presso la sede di lavoro, né abbia potuto comunicare la sua assenza. Al fine di non vanificare l’efficacia di eventuali accertamenti, come già rilevato dall’Ispettorato, gli stessi dovranno essere avviati e conclusi con la massima tempestività e comunque entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della comunicazione.
Non solo, la predetta comunicazione, come chiarito dalla Circolare, deve essere inviata anche al lavoratore stesso, al fine di garantire a quest’ultimo la possibilità di esercitare un effettivo diritto di difesa, riconosciuto come inviolabile dall’art. 24 della Costituzione.
Infatti, il lavoratore potrebbe anche interrompere gli effetti della cessazione, qualora fornisca la prova, con onere a proprio esclusivo carico, di non aver potuto comunicare le ragioni dell’assenza per causa di forza maggiore o per fatto imputabile al datore di lavoro. In tali ipotesi, così come nel caso in cui l’Ispettorato accerti autonomamente la non veridicità della comunicazione del datore di lavoro, l’effetto di cessazione del contratto non si applica e la comunicazione di cessazione non avrà valore.
Parimenti, la successiva presentazione di dimissioni tramite procedura telematica da parte del lavoratore – anche per giusta causa – prevale sulla cessazione già comunicata dal datore, rendendola inefficace e sostituendola con un recesso formalmente espresso.
È opportuno infine ribadire che il meccanismo in esame non rappresenta un obbligo per il datore di lavoro, ben potendo quest’ultimo, in caso di assenza ingiustificata di un dipendente, fare ricorso al procedimento di cui all’art. 7 Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), a maggior ragione considerato che diversi CCNL prevedono sanzioni disciplinari, anche espulsive, per assenze ingiustificate di durata inferiore ai quindici giorni stabiliti dall’art. 19 del Collegato Lavoro.
In conclusione, si ritiene che l’intervento normativo introdotto dal legislatore fosse non solo auspicabile, ma anche necessario, consentendo finalmente ai datori di lavoro di gestire in modo chiaro e semplificato le ipotesi di assenza ingiustificata prolungata.
Infatti, prima della riforma, l’unica alternativa per il datore di lavoro, in caso di protratta assenza ingiustificata, era sostanzialmente il ricorso al procedimento disciplinare di cui all’art. 7 Legge n. 300/1970 (Statuto dei Lavoratori), alla cui attivazione erano spesso i lavoratori stessi ad essere interessati, maturando in caso di licenziamento il diritto all’indennità di disoccupazione (NASpI), che non è invece riconosciuta in caso di dimissioni volontarie.
La nuova disciplina ha quindi il merito di porre fine a questo meccanismo distorto, restituendo coerenza e trasparenza al sistema, con benefici sia per i datori di lavoro sia per l’equilibrio generale delle tutele previdenziali.
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A cura di Avv. Marco Sormani